I milanesi ammazzano al mercoledì

Diego Preda e Laurenca Adelaide Lima avevano una sola cosa in comune fino a ieri: abitare a Milano. Ora ne hanno un’altra: i loro cadaveri sono stati rinvenuti lo stesso giorno, in due posti diversi della città.

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Il corpo di Diego Preda, 69 anni, ucciso mercoledì a Milano. (Ansa)

Storie diametralmente opposte, a quanto sembra, per le ultime due vittime rinvenute all’ombra, sempre più tetra, della Madonnina.

Diego Preda era un assicuratore di 69 anni, socio insieme alla moglie Ornella e al figlio Giorgio della Dp Sas, società di commercio all’ingrosso e intermediazione assicurativa che controllava a sua volta la Z & M Insurances Brokers Srl, con uffici in via Cavalieri, zona Moscova. Un quartiere elegante come quello dove era ubicata la controllante Dp Sas, in viale Monte Rosa, dove si trova il palazzo – progettato da Renzo Piano – che ospita il Gruppo Sole 24 Ore e la società di consulenza Price Waterhouse Coopers.

Proprio nelle vicinanze dell’ufficio, all’angolo tra via Alberto Mario e via Mosè Bianchi, Preda è stato raggiunto dal killer che gli ha sparato un solo colpo alla nuca, probabilmente con un revolver, visto che non è stato trovato alcun bossolo. Testimoni affermano di aver visto un uomo con un casco o un passamontagna allontanarsi in fretta a piedi dal luogo del delitto, e ora i filmati delle telecamere di sicurezza sparse un po’ ovunque nella zona sono al vaglio delle forze dell’ordine per cercare di far luce su questa sanguinosa e misteriosa tragedia.

Perché per ora, sul movente dell’assassinio, è buio pesto. Diego Preda aveva un solo precedente penale che risale al lontano 1982, per omicidio colposo. Trent’anni sembrano troppi per collegare i due episodi, e il timore è quindi quello che, anche in questo caso, l’assassino possa restare senza un volto e un nome, come per il duplice omicidio di Massimiliano Spelta e della moglie Carolina Pajano, avvenuto il 10 settembre scorso e ancora senza soluzione.

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La casa dove è stato trovato il corpo senza vita di Laurenca Adelaide Lima. (Fotogramma)

Il secondo cadavere trovato ieri è quello di una donna 44enne di Capo Verde, Laurenca Adelaide Lima. In questo caso, anche se le dinamiche devono ancora essere chiarite, c’è già un fermo per l’omicidio. Si tratta di Vincenzo Vergata, 56enne con problemi di tossicodipendenza – veniva chiamato “Vincenzo il drogato” – e con precedenti penali. L’uomo è stato arrestato dopo aver compiuto una rapina in un supermercato, e in seguito è stata perquisita la sua abitazione in Piazzale Lagosta. All’interno i poliziotti hanno scoperto il corpo senza vita della donna: era sul pavimento della cucina, nuda, con una corda attorno al collo e tre sacchi di plastica sulla testa. Una scena che ha fatto subito pensare a una pratica sessuale sadica che potrebbe essere degenerata. L’uomo, che agli agenti ha farfugliato frasi sconnesse, aveva in casa un biglietto per Istanbul, con partenza fissata per il 27 novembre. Pochi giorni ancora, forse, e anche questo delitto – il quarto nel giro di due mesi – sarebbe rimasto senza un colpevole.

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Il presunto assassino, Vincenzo Vergata. (Fotogramma)

Giorgio Faletti: un maestro del thriller, tra musica e mistero.

Giorgio Faletti al Teatro Elfo Puccini di Milano. (16 novembre 2012)

Da ottimo scrittore di thriller, come gli è ormai riconosciuto da buona parte della critica e da colleghi famosi – come Jeffrey Deaver -, Giorgio Faletti ha atteso quasi fino all’ultimo prima di svelare il suo nuovo libro, “Da quando a ora”, in uscita il 20 novembre. Il nuovo lavoro dello scrittore, musicista, attore, comico e pittore astigiano (sperando di non aver dimenticato qualcosa) non è però un thriller: si tratta di un’autobiografia musicale (di cui ha curato anche la copertina), che uscirà in un cofanetto contenente anche due cd, con alcune canzoni tra cui quella cantata in studio da Fazio.

Due giorni fa, venerdì 16 novembre, Faletti ha partecipato, proprio insieme a Jeffrey Deaver, ad un evento organizzato nell’ambito di Bookcity e intitolato “Tra parole e musica: due maestri del thriller e i loro segreti”. Un’occasione imperdibile per gli appassionati del genere, che infatti hanno affollato il teatro Elfo Puccini di Milano. L’incontro è stato una piacevole conversazione tra i due colleghi, coetanei e amici – si conoscono da circa 10 anni -, inframmezzato dalla chitarra e dalle canzoni di Seba Pezzani.

Da sinistra, Faletti, Jeffrey Deaver e Seba Pezzani.

Al termine dell’incontro sono riuscito a scambiare qualche battuta con Faletti sul rapporto tra cronaca e finzione, nello specifico per il genere thriller:

<<Di solito il thriller è un superamento della cronaca, o per lo meno questo è quello che un autore vorrebbe fare. Poi, talvolta, ci sono fatti di cronaca così iperbolici, che se io li inserissi all’interno di un libro la gente probabilmente lo butterebbe via, dicendomi che cose del genere non possono accadere nella realtà. Resta il fatto che la cronaca è, drammaticamente, un serbatoio a cui attingere idee, soprattutto però per quello che riguarda non tanto la cronaca nera, quanto quella scientifica: quello che più è cambiato dai tempi di Sherlock Holmes sono infatti i metodi di indagine, oltre ai modi di delinquere>>.

Tornando al nuovo libro presentato da Fazio, devo dire che già venerdì, nel corso dell’incontro a Milano, avevo pensato, come ogni buon lettore di libri gialli, che dietro la presenza di Faletti doveva esserci un motivo particolare. Mentre il movente di Deaver era chiaramente il suo nuovo romanzo, XO – Sarò la tua ombra”, in cui tra l’altro la musica gioca un ruolo fondamentale (tanto che Deaver ha anche composto e prodotto un cd legato al libro, che potete comprare qui), il motivo della presenza di Faletti mi sfuggiva. Certo, è molto amico di Deaver, ed è un ottimo intrattenitore. E, certo, sapevo che aveva un libro in uscita – <<sarà una sorpresa>>, diceva al pubblico curioso. Ma mai avrei potuto pensare che lui, sornione, aveva in realtà già disseminato, anzi quasi sottolineato, tutti gli indizi necessari a scoprire la sorpresa, fin dal titolo dell’incontro: “tra parole e musica”. Parole e musica sono, infatti, niente altro che la sua autobiografia. Quando si dice deformazione professionale…

Una sera a cena da Hannibal

Chissà se anche il “Gilgo killer”, cioè il serial killer di Long Island che da 15 anni uccide e squarta prostitute, lasciandone i resti nei pressi della Gilgo Beach, avrà fatto un salto alla mostra “Killers – a nightmare haunted house”, che ha chiuso ieri a New York dopo più di due mesi di polemiche e di visite. Probabilmente parecchie, se si considera che la chiusura, inizialmente prevista per il 3 novembre, è stata posticipata di una settimana.

A parte gli scherzi, è sempre stupefacente osservare come gli USA riescano a esorcizzare le proprie paure, addirittura trasformandole in lucrosi business. Quello delle “Haunted-house”,  attrazioni a tema in chiave horror, fattura solo di incassi tra i 300 e i 500 milioni di dollari ogni anno, attirando una media di 3 milioni di americani. Non è solo terrore pagano: è del 1972 “Scaremare”, la prima haunted-house cristiana fondata dal pastore Jerry Falwell con l’obiettivo di sostituire a fantasmi e mostri i demoni biblici. Una prova ulteriore della presenza pervasiva del marketing in tutti gli ambiti.

C’è il marketing anche dietro l’enorme “successo” – leggasi attenzione da parte del pubblico – che psicopatici e serial killer registrano negli USA così come in altre parti del mondo? Anche, ma non solo. Per lo scrittore Jeff Lindsay (pseudonimo di Jeffry P. Freundlich), alla base di questo macabro interesse c’è una constatazione semplice e tranquillizzante: ammiriamo e ci fermiamo a curiosare all’interno del mondo del “male”, incarnato da queste persone lontane da noi, proprio perché siamo consapevoli che noi non potremmo mai fare una cosa del genere. Potremmo uccidere qualcuno per autodifesa, ma uccidere per il piacere di farlo, questo no, è assolutamente fuori dalla nostra comprensione. E proprio il non riuscire a comprenderlo, nonostante i nostri sforzi, è il segno della nostra umanità.

Dobbiamo credere a Mr. Lindsay? Sappiate solo che è il papà di Dexter, l’atipico serial killer protagonista dell’omonima serie televisiva di culto.

E ora scusatemi, ma ho un amico per cena

Intuizioni obiettive – parte seconda

“Uomini che odiano le donne” è il primo capitolo di una trilogia, “Millennium”, che nel mondo ha venduto oltre 63 milioni di copie.

L’autore, Stieg Larsson, è un giornalista svedese che si è occupato di razzismo, antisemitismo e violenza contro le donne, prima di morire, a soli 50 anni, senza avere il piacere di osservare la sua trilogia conquistare i lettori di tutto il mondo.

“Uomini che odiano le donne” si snoda su un duplice binario: da un lato, la vicenda che contrappone il protagonista, il giornalista d’inchiesta Mikael Blomqvist, all’uomo d’affari Hans-Erik Wennerstrom. Dall’altro, l’incarico che viene affidato allo stesso Blomqvist da un anziano industriale, Henrik Vanger, patriarca di una famiglia che sembra avviata sulla strada di un inesorabile declino. Incarico che consiste nello scoprire chi, della stessa famiglia Vanger, abbia ucciso sua nipote Harriet trentasei anni prima e ne abbia occultato il corpo.

E’ questa seconda parte, a mio parere, quella più riuscita e avvincente. Le indagini del protagonista procedono a rilento e sembrano non portare da nessuna parte. Fino a quando un’intuizione “regalata” dall’autore Larsson al suo personaggio, dà il via a una serie di successive scoperte che porteranno alla soluzione dell’enigma.

Si tratta di una fotografia. O meglio, di una fotografa ritratta all’interno di un’altra foto, che, come in un gioco di specchi, è intenta a catturare con il suo obiettivo lo stesso attimo di realtà, ma da una prospettiva opposta.

Il protagonista la nota all’improvviso, dopo che quella foto era passata da tante mani, vista e rivista tante volte, quasi consumata. Proprio come un’altra foto, quella del Terun, di cui parlo qui.

Storie che raccontano di altre Storie.

Intuizioni obiettive – parte prima

Antonio Custra è un poliziotto 25enne. Il 14 maggio del 1977 c’è anche lui, a Milano, insieme ad altri suoi colleghi. E’ in corso una manifestazione di protesta organizzata da gruppi della sinistra extraparlamentare, in risposta alla morte di Giorgiana Masi avvenuta due giorni prima a Roma.

Il vicebrigadiere è lì per fare il suo mestiere: garantire l’ordine pubblico.

Il corteo arriva da via Olona e deve procedere su via Carducci, verso il Duomo. Sono le 15:37 e fino a quel momento la manifestazione si è mantenuta pacifica, come era stato stabilito. All’improvviso si leva un grido: <<Romana fuori!>>

E’ allora che un gruppetto di autonomi, armi in pugno, imboccano via De Amicis. Alcuni di questi ragazzi, giovanissimi, sparano ad altezza d’uomo, verso il cordone di poliziotti disposto a circa 100 metri per fronteggiarli. Tra lacrimogeni e molotov non si vede granché. Alcuni poliziotti vengono colpiti, ma se la caveranno. Uno no. E’ Antonio Custra. Morirà il giorno successivo, lasciando una moglie incinta di una bambina che prenderà il suo nome.

La scena degli scontri viene ripresa dai fotografi presenti. Una foto, in particolare, ritrae Giuseppe Memeo, chiamato Il terun per il suo marcato accento lucano. La sua figura, leggermente piegata sulle ginocchia, con il volto coperto da passamontagna, le braccia tese che impugnano una pistola, gli occhi quasi chiusi, diventa il simbolo di un’intera, terribile stagione del Paese: gli anni di piombo.     Immagine

Un primo processo non riesce a individuare tutti gli autori degli scontri. E, soprattutto, non individua chi ha sparato al vicebrigadiere Custra uccidendolo.

Capita spesso che i simboli non vengano mai messi in discussione, che se ne perpetui l’utilizzo in maniera quasi acritica e automatica. La foto che ritrae il ragazzo che spara sembra seguire lo stesso percorso. Fino a quando, nel 1987, dieci anni dopo gli scontri di via De Amicis, un magistrato, Guido Salvini, ha un’intuizione.

Osserva la foto e nota, dietro al ragazzo in primo piano, un fotografo di cui non si nulla. Dopo aver interrogato gli altri fotografi presenti durante gli scontri il magistrato scopre finalmente un nome, Antonio Conti,  e l’indirizzo di un’abitazione da perquisire. Vi trova gli scatti che Conti non aveva mai reso pubblici, non si capisce se per vicinanza ideologica agli autonomi o per altri motivi.  Scatti fondamentali per risalire agli altri autori degli scontri e per dare un nome all’assassino del vicebrigadiere Custra: Mario Ferrandi.

Fin qui, la Storia. Una vicenda che mi ha colpito perché a febbraio di quest’anno un caso ha permesso di (ri)scoprire, in Maurizio Azzollini, uno dei ragazzi ritratti nelle foto con la pistola in pugno, l’attuale capo del gabinetto del vicesindaco di Milano, Maria Grazia Guida.

Ma anche perché ricorda incredibilmente un’altra storia, questa volta di carta. Si chiama “Uomini che odiano le donne”, e ne parlo qui.

Un’incredibile combinazione

Quello che avviene la sera del 23 maggio 2012 rende felici milioni di lettori di romanzi polizieschi sparsi in tutto il mondo. Un arresto – di cui si verrà a sapere solo un paio di giorni dopo – chiude, o perlomeno circoscrive, una vicenda che tiene banco da più di un anno e che coinvolge, udite udite, il Vaticano. <<Hanno arrestato il corvo>>, scrivono i siti e le agenzie del mondo intero. Ovvero il responsabile di una fuga di notizie, lettere e documenti riservati, poi pubblicati da giornali e trasmesse all’interno di trasmissioni televisive, che hanno dato origine a un vero e proprio caso con un nome ben preciso: Vatileaks.

Non voglio entrare adesso nello specifico di una vicenda dai contorni ancora poco chiari. Ciò che mi interessa in questo post è sottolineare l’incredibile combinazione che la storia del corvo incarna. Perchè il corvo ha un nome e soprattutto un ruolo ben preciso all’interno della Curia. Il suo nome è Paolo Gabriele. E di mestiere fa il maggiordomo.

Proprio così: è stato il maggiordomo. Uno dei luoghi comuni più abusati del romanzo giallo diviene la chiave di volta di un mistero reale. Romanzi e realtà si mescolano fino a rendere l’una specchio fedele degli altri. Una curiosa combinazione, secondo molti. Un interessante spunto di riflessione, secondo me.

E’ da qui che parte il mio viaggio.  Il caso Vatileaks è solo l’ultimo tassello, almeno finora, di una costruzione più ampia a cui ho dedicato parte dei miei studi e parte consistente del mio tempo libero.

Questo non è un blog sul romanzo poliziesco. E’ un luogo in cui voglio indagare il rapporto tra un genere letterario e il mondo in cui viviamo. In cui ospitare riflessioni sui motivi per cui il delitto, nelle sue varie forme, spaventa e insieme affascina il genere umano. Perchè il delitto – Caino docet – è precedente alle sue rappresentazioni letterarie. E, dunque, l’irresistibile attrazione che l’uomo prova per il romanzo poliziesco è dovuta in realtà a ciò che esso cerca di riprodurre, comprendere,  interpretare. E’ dovuta al delitto stesso.

Questo blog sarà pieno di delitti. Da quelli su carta, a quelli – purtroppo – reali. La speranza è di riuscire a trovare sempre un colpevole. Il timore è che non sarà sempre così facile come per il  caso del corvo. Anche perchè di maggiordomi, in tempi di crisi, ce ne sono sempre meno.