Il crimine è un “buco nero” nella nostra mente?

Fosse ancora in vita, probabilmente Cesare Lombroso, il medico fondatore dell’antropologia criminale e seguace della frenologia,  si sfregherebbe le mani.

Cesare Lombroso

L’inventore dell’antropologia criminale, Cesare Lombroso (1835 – 1909) (Fonte: Wikipedia)

Perché circa un secolo dopo la sua morte, avvenuta nel 1909, il principio di fondo da lui portato avanti, quello secondo cui alcune caratteristiche anatomiche sarebbero direttamente correlate a comportamenti devianti, viene ribadito da alcuni studi recentissimi. Con alcune differenze, certo: al posto della dimensione del cranio e della fossetta occipitale mediana vi sono zone del cervello poco sviluppate o mutazioni genetiche.

L’ultimo studio, in ordine di tempo, è quello condotto dal professor Gerhard Roth, neurobiologo tedesco che avrebbe scoperto attraverso delle radiografie come, all’interno del cervello di alcuni criminali, si trovi un “buco nero” che, a detta del medico, sarebbe la causa dei loro comportamenti criminosi.

Gerhard Roth

Il neurobiologo Gerhard Roth, dell’Università di Brema (Fonte: Università di Brema)

In un’intervista al Daily Mail, ripresa da Lettera 43, lo scienziato ha affermato: “Quando sottoponiamo assassini, stupratori e ladri a una radiografia, la zona cerebrale rivela quasi sempre gravi carenze nella parte frontale-inferiore”.

Il buco nero

Il “buco nero” nella regione frontale-inferiore del cervello, da dove partirebbe l’attitudine a delinquere (Fonte: Daily Mail)

Si tratterebbe di un deficit nello sviluppo del lobo frontale-inferiore, che potrebbe essere causato anche da traumi e patologie tumorali e in presenza del quale, secondo il neurologo tedesco (che risulta direttore dell’istituto di ricerca sul cervello dell’Università di Brema) ci si troverebbe di fronte a un potenziale criminale nel 66% dei casi. Anche nel caso di ragazzi. Da qui, discetta lo scienziato, l’importanza della scoperta: ovvero la possibilità di sottoporre a cure e rieducazione le persone con questo problema, anche coloro che non hanno ancora mostrato comportamenti anti-sociali.

Pur ammettendo “l’importanza fondamentale dell’ambiente di crescita” quale causa delle azioni criminali, resta la forte perplessità dinanzi ad affermazioni così nette da richiamare scenari raccapriccianti, quali l’eugenetica, o fantascientifici, alla Minority Report, il film di Steven Spielberg (basato su un racconto del visionario Philip K. Dick) in cui le persone vengono arrestate per crimini non ancora commessi, ma che sarebbero (quasi) sicuramente in procinto di commettere.

Eppure, lo studio del dott. Roth non è il solo nel suo genere. E’ del 2011 la notizia di una ricerca condotta dal dipartimento di neuroscienze dell’Università di Torino che ha sostenuto come, alla base della pedofilia, ci potrebbe essere una mutazione genetica dovuta all’alterazione della progranulina, sostanza importante anche nella differenziazione sessuale.

Si tratta di uno studio autorevole, pubblicato sulla rivista internazionale Biological Psychiatry e corroborata dal caso, risolto positivamente, di un uomo di 50 anni che provava attrazione per la figlia di 9 e che, dopo adeguato approccio neurologico e psicologico, non ha più manifestato comportamenti pedofili.

Che sia arrivato il momento di aggiungere, all’incapacità di intendere e di volere, la predisposizione genetica o cerebrale al crimine quale condizione di non imputabilità di una persona?