Una sera a cena da Hannibal

Chissà se anche il “Gilgo killer”, cioè il serial killer di Long Island che da 15 anni uccide e squarta prostitute, lasciandone i resti nei pressi della Gilgo Beach, avrà fatto un salto alla mostra “Killers – a nightmare haunted house”, che ha chiuso ieri a New York dopo più di due mesi di polemiche e di visite. Probabilmente parecchie, se si considera che la chiusura, inizialmente prevista per il 3 novembre, è stata posticipata di una settimana.

A parte gli scherzi, è sempre stupefacente osservare come gli USA riescano a esorcizzare le proprie paure, addirittura trasformandole in lucrosi business. Quello delle “Haunted-house”,  attrazioni a tema in chiave horror, fattura solo di incassi tra i 300 e i 500 milioni di dollari ogni anno, attirando una media di 3 milioni di americani. Non è solo terrore pagano: è del 1972 “Scaremare”, la prima haunted-house cristiana fondata dal pastore Jerry Falwell con l’obiettivo di sostituire a fantasmi e mostri i demoni biblici. Una prova ulteriore della presenza pervasiva del marketing in tutti gli ambiti.

C’è il marketing anche dietro l’enorme “successo” – leggasi attenzione da parte del pubblico – che psicopatici e serial killer registrano negli USA così come in altre parti del mondo? Anche, ma non solo. Per lo scrittore Jeff Lindsay (pseudonimo di Jeffry P. Freundlich), alla base di questo macabro interesse c’è una constatazione semplice e tranquillizzante: ammiriamo e ci fermiamo a curiosare all’interno del mondo del “male”, incarnato da queste persone lontane da noi, proprio perché siamo consapevoli che noi non potremmo mai fare una cosa del genere. Potremmo uccidere qualcuno per autodifesa, ma uccidere per il piacere di farlo, questo no, è assolutamente fuori dalla nostra comprensione. E proprio il non riuscire a comprenderlo, nonostante i nostri sforzi, è il segno della nostra umanità.

Dobbiamo credere a Mr. Lindsay? Sappiate solo che è il papà di Dexter, l’atipico serial killer protagonista dell’omonima serie televisiva di culto.

E ora scusatemi, ma ho un amico per cena