Intuizioni obiettive – parte prima

Antonio Custra è un poliziotto 25enne. Il 14 maggio del 1977 c’è anche lui, a Milano, insieme ad altri suoi colleghi. E’ in corso una manifestazione di protesta organizzata da gruppi della sinistra extraparlamentare, in risposta alla morte di Giorgiana Masi avvenuta due giorni prima a Roma.

Il vicebrigadiere è lì per fare il suo mestiere: garantire l’ordine pubblico.

Il corteo arriva da via Olona e deve procedere su via Carducci, verso il Duomo. Sono le 15:37 e fino a quel momento la manifestazione si è mantenuta pacifica, come era stato stabilito. All’improvviso si leva un grido: <<Romana fuori!>>

E’ allora che un gruppetto di autonomi, armi in pugno, imboccano via De Amicis. Alcuni di questi ragazzi, giovanissimi, sparano ad altezza d’uomo, verso il cordone di poliziotti disposto a circa 100 metri per fronteggiarli. Tra lacrimogeni e molotov non si vede granché. Alcuni poliziotti vengono colpiti, ma se la caveranno. Uno no. E’ Antonio Custra. Morirà il giorno successivo, lasciando una moglie incinta di una bambina che prenderà il suo nome.

La scena degli scontri viene ripresa dai fotografi presenti. Una foto, in particolare, ritrae Giuseppe Memeo, chiamato Il terun per il suo marcato accento lucano. La sua figura, leggermente piegata sulle ginocchia, con il volto coperto da passamontagna, le braccia tese che impugnano una pistola, gli occhi quasi chiusi, diventa il simbolo di un’intera, terribile stagione del Paese: gli anni di piombo.     Immagine

Un primo processo non riesce a individuare tutti gli autori degli scontri. E, soprattutto, non individua chi ha sparato al vicebrigadiere Custra uccidendolo.

Capita spesso che i simboli non vengano mai messi in discussione, che se ne perpetui l’utilizzo in maniera quasi acritica e automatica. La foto che ritrae il ragazzo che spara sembra seguire lo stesso percorso. Fino a quando, nel 1987, dieci anni dopo gli scontri di via De Amicis, un magistrato, Guido Salvini, ha un’intuizione.

Osserva la foto e nota, dietro al ragazzo in primo piano, un fotografo di cui non si nulla. Dopo aver interrogato gli altri fotografi presenti durante gli scontri il magistrato scopre finalmente un nome, Antonio Conti,  e l’indirizzo di un’abitazione da perquisire. Vi trova gli scatti che Conti non aveva mai reso pubblici, non si capisce se per vicinanza ideologica agli autonomi o per altri motivi.  Scatti fondamentali per risalire agli altri autori degli scontri e per dare un nome all’assassino del vicebrigadiere Custra: Mario Ferrandi.

Fin qui, la Storia. Una vicenda che mi ha colpito perché a febbraio di quest’anno un caso ha permesso di (ri)scoprire, in Maurizio Azzollini, uno dei ragazzi ritratti nelle foto con la pistola in pugno, l’attuale capo del gabinetto del vicesindaco di Milano, Maria Grazia Guida.

Ma anche perché ricorda incredibilmente un’altra storia, questa volta di carta. Si chiama “Uomini che odiano le donne”, e ne parlo qui.